DIARIO DI BORDO – 9 maggio #beFilmaker in Palestina 2017


Oggi la sveglia potrebbe suonare un po’ più tardi, perchè la classe della mattina non c’è, ma facciamo finta di niente e ne approfittiamo per fare un giro a Hebron, città fantasma.

L’avevo già visitata lo scorso anno, un posto difficile da capire e da vedere, ma sicuramente necessario per comprendere come sia possibile stravolgere e ricostruire la realtà.

Oltre l’espressione politica di questo luogo, il motivo per cui abbiamo pensato a questi corsi parte proprio da osservazioni come questa: le immagini hanno un potere enorme e se usate possono creare o distruggere l’identità, di un popolo, di una persona, di un luogo.

È un discorso contorto, lungo e difficile da sciogliere in poche righe dopo giornate così intense, ma passando una mattinata a Hebron viene da chiederci “ come sia possibile che quello che vediamo questa mattina non arrivI a casa nostra?”

E’ necessario imparare a utilizzare le immagini, capire come e perchè usarle ed è fondamentale che a farlo sia chi vive la realtà da raccontare, senza dover delegare ai “maestri dell’immagine” questa narrazione. Vogliamo condividere quello che sappiamo con chi vive questi territori, perchè vorremmo vedere storie che noi neanche immaginiamo.

Con queste domande e senza nessuna risposta andiamo dalla classe del pomeriggio, consapevoli che loro più di noi potranno riuscire in tale ricerca.

La lezione inizia puntuale, questa volta non possiamo ritardare, sudati e col fiatone si, ma 2 minuti prima dell’inizio. Ripassiamo la teoria del giorno prima e chiediamo ad ogni studente e studentessa cosa hanno deciso di raccontare. A sorpresa, Anfal decide di cambiare argomento: non più il suo studio fotografico, ma l’assurda situazione dei bambini di Aida, costretti a giocare a calcio con una rete in alto, per “parare” i lacrimogeni.

Ritaj vuole invece raccontarci del muro e della difficoltà di muoversi liberamente.

Un’altra idea molto interessante è quella di Hanadi, che attraverso la passione della mamma per la cucina, vuole raccontare la propria storia e il proprio passato, senza però far parlare nessuno.

Gli spunti che ci arrivano sono interessantissimi e vorremmo avere più tempo. Purtroppo non possiamo e allora diciamo loro che un bravo reporter deve adattarsi al contesto e alle esigenze:

Fate finta che io sia il vostro capo, stronzo ovviamente, e che vi dia solo due giorni per raccontare la storia del campo, altrimenti rimarrete senza paga.”

Sorrido e penso che lo meriterebbero come tanti colleghi con cui lavoro tutti i giorni.

E’ difficile accettare che a questi ragazzi così curiosi ed intelligenti non sia data la possibilità di esprimere al meglio le loro capacità, ma non vogliamo pensarci, alla carità abbiamo sempre preferito la solidarietà. Vogliamo lavorare insieme senza compassione, non serve ne a loro ne a noi.

Prima di andare via ci offrono un te, ma per errore al posto dello zucchero viene messo il sale:

Lo abbiamo fatto apposta, per i prigionieri” dicono, alludendo alla forma di solidarietà con chi sta facendo lo sciopero della fame: si beve un bicchiere di acqua e sale, come fanno loro, perchè attenua la fame. Chiudiamo un’altra giornata, tra una risata e un sorriso amaro, come quel the con il sale.