Be Filmaker in Gaza, le fragole come ambasciatrici della palestina


Sveglia alle 6.30,dopo pochi minuti arriva la corrente elettrica, penso subito a chiudere il diario di ieri altrimenti stasera mi ritrovo a dover scrivere tanto invece di godermi la festa di despedida che faremo a casa.
Purtroppo è l’ultimo giorno nella Striscia, questo momento rinviato più volte rinviato è arrivato. Doveva essere il 13 gennaio prima, poi il 14 ed ora domani. Stavolta è quella buona.
Prima di andarmene però voglio raccontare una storia interessante che racconta l’altra Gaza, della resistenza quotidiana contro l’occupazione che passa attraverso la vita quotidiana e il lavoro.
Nel nord, praticamente a ridosso del valico di Erez, nel comune di Bet Lahya, c’è un’intensa attività agricola, agrumi, angurie, aglio, erba medica, mais ma soprattutto fragole. Le fragole, insieme ai fiori, sono uno dei simboli della Palestina. Da decenni coltivano fragole per esportarle in tutto il mondo, sono fragole di prima qualità che nel mercato mondiale hanno acquisito un certo prestigio. Ovviamente con l’occupazione e la restrizione del passaggio di merci e l’aumento di tasse hanno decimato la coltivazione e di fatto impedito l’esportazione di questo prodotto.
Fino al 1994 tutti i prodotti della Striscia di Gaza venivano esportati con il marchio “Israele”, dopo quella data allo stato ebraico è rimasto solo la distribuzione dei prodotti sui quali continua a produrre profitto.
Nel 2007 è cambiato tutto, con la presa del potere di Hamas e le restrizioni economiche alla Striscia di Gaza, la produzione di fragole è passata da 250 ettari ai 57 ettari coltivati quest’anno, mentre i lavoratori impegnati nella produzione erano 3200 mentre oggi ne restano solamente 700.
Israele di fatto mette in ginocchio Gaza economicamente attraverso le tasse e il controllo dell’unico valico autorizzato al passaggio delle merci. Quasi tutti prodotti della Striscia infatti non possono essere esportati mentre i pochi autorizzati hanno una serie di costi da sostenere che diventano assolutamente fuori mercato e quindi i coltivatori rinunciano al mercato estero. Le fragole sono tra i pochi prodotti esportabili e ad oggi per ogni tir che da Bet Lahya arriva all’aeroporto di Ben Gurion il costo del trasporto è di 4600 shekel, contro i 1000 shekel del 2007.
Facciamo un bel giro e per i campi, conosciamo molti produttori, chi ha solo il campo, chi ha anche il semenzaio e le serre adibite alla produzione delle piantine. Sono molto organizzati, conoscono il loro lavoro e ci raccontano, davanti ad un immancabile tè, che loro rispettano tutti gli standard europei di qualità e utilizzo di fertilizzati e pesticidi. A questo ci tengono perché, oltre alla qualità delle fragole, sarebbe la loro arma per vendere i loro prodotti all’estero e uscire dalla crisi economica.
Ci dicono:”le fragole sono le nostre migliori ambasciatrici nel mondo, se solo potessero uscire di qui”
Effettivamente questo piccolo frutto rosso potrebbe essere un buon ambasciatore di libertà per la Palestina. Potrebbe ridare umanità a questo fazzoletto di terra che pensiamo sia solo guerra e terrorismo. Qua invece si vive e si resiste, le fragole, come i fiori e gli agrumi, sono un simbolo della resistenza palestinese.
Ci offrono tantissime fragole, ne compriamo una cassa per la cena di questa sera.
A casa siamo sorpresi di trovare l’elettricità, ci spiegano che oggi è il “nostro giorno fortunato” e la municipalità di Gaza eroga fino alle 15 energia in tutto il quartiere. In realtà alle 13.45 finisce la pacchia ma va bene lo stesso.
Capisco che è davvero un giorno fortunato quando mi affaccio poco prima del tramonto e Gaza ha deciso di salutarmi in maniera splendida, prima le nuvole coprono il sole e lasciano passare solo dei raggi bellissimi che illuminano il mare, dopo il sole si prende la sua parte e diventa una palla di fuoco che piano piano se ne va dietro l’orizzonte. Mi sembra un buon modo per salutarsi.

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