Befilmaker in Gaza – Arrivederci Gaza


Per il momento è finita, inizia un’altra, brevissima, esperienza ma intanto vado via da Gaza.

Ieri sera è iniziata a salire la nostalgia, già prima di partire. Non ho fatto lo zaino, non ho sistemato nulla, sono andato al letto come se domani mattina dovessi tornare all’università Al Aqsa, Rafah o qualasisi altro posto dentro la Striscia.

Questa mattina la sveglia è biologica, alle 7 apro gli occhi e ci sono i primi raggi di sole. Dopo qualche minuto sento arrivare i soliti poliziotti in addestramento che cantano e corrono sotto il nostro palazzo, ormai sono parte della vita a Gaza. Colazione veloce e finalmente mi decido a fare lo zaino e a prepararmi.

21 giorni sono molti ma non tanti, devo e voglio conoscere ancora molti luoghi di Gaza, scoprire storie per poi raccontarle. Oggi insieme a Sergio, Daniele e Sami ci dirigiamo al mercato di Gaza, in piena Gaza Vecchia. Con Daniele lasciamo le valigie al “Centro Vik” e andiamo.

Oggi non c’è tempo e voglia per la macchina fotografica. Voglio solo godermi la passeggiata e comprare finalmente la Kofiah rossa, quella del “Fronte Popolare”.

Gli odori sono pazzeschi, ogni banco che espone spezie è un trionfo di profumi. Se non fosse cosi pieno di persone potrei chiudere gli occhi e farmi guidare dall’olfatto, sarebbe un bell’esperimento. Arriviamo nella zona delle macellerie e iniziano le esposizioni di polli, tacchini e anatre ancora vive, in bella mostra per far scegliere al cliente quella che più gradisce. Questa è una cosa molto tipica che da noi, per questioni di igiene e rispetto degli animali è stata superata. Più avanti si mangia, approfittiamo per sederci in una bettola molto caratteristica. Frittura dei falafel sul momento, humus fresco e pane caldo. Pranzo semplice ma buonissimo. Prendo appunti, c’è una salsa di fave molto buona che nella stagione giusta proverò a rifare.

Si è fatto tardi, scappiamo al “Centro Vik”, abbraccio Meri, Sami e Sergio, ci rivediamo il 25 a Roma per una riunione sul da farsi.

Ad Erez cala il silenzio tra me e Daniele. Passiamo i due check point palestinesi prima di tuffarci in quel corridoio mostruoso lungo un chilometro e completamente recintato. C’è la possibilità di prendere delle piccole moto con un rimorchio ma preferiamo andare a piedi.
Sentire i propri passi nel silenzio totale ed avere attorno solo reti come fossimo in un recinto e a pochi metri il muro che “chiude” la Striscia dentro se stessa mette ansia, ma ti fa capire davvero in che posto sei.

“Tum Tum Tum”, tre colpi di fucile all’improvviso ribadiscono la situazione. Qualcuno deve essere avvicinato troppo al muro e gli israeliani hanno sparato per ricordare a quel qualcuno che vive sotto occupazione e non può uscire.

Alla fine del corridoio arriviamo al muro. “Welcome to Israel” ci dice il cartello. Tutte le porte sono chiuse, non capiamo. Guardiamo le telecamere perplessi e cerchiamo di capire, tutto inutile. L’ansia sale.
Dopo qualche minuto si apre una porta e possiamo iniziare la trafila di tornelli e controlli. L’attesa è snervante, ti senti osservato da tutti i militari in alto che ti controllano con il fucile in spalla, il luogo sembra il gate di un aeroporto sotto attacco permanente. In realtà siamo appena 10 persone in tutto, nessuno mi sembra pericoloso.

Finalmente esco, Daniele è ancora dentro per le solite domande e ne approfitto per sedermi all’aria aperta. Un militare vestito da bad boy statunitense con l’immancabile M-16 a tracolla mi guarda da dietro gli occhiali da sole. Si avvicina, gira intorno e poi se ne va. Intanto sento qualche aereo militare sfrecciare sopra di noi, “Welcome to Israel”.

Prendiamo un taxi per Gerusalemme, strada facendo trattiamo e con qualche shekel in più arriviamo al campo profughi di Aida dove un amico ci aspetta. Per arrivare al campo, praticamente accanto a Betlemme, dobbiamo passare un altro muro tirato su dagli israeliani. Due in un giorno sono tanti, troppi, ma respiriamo e andiamo avanti.

Aida è particolare ma bella, il muro che quasi la circonda completamente è pieno di murales bellissimi. Facciamo un giro, ci raccontano un po’ di storie. Tra il 2000 e il 2003 gli scontri sono stati tanti e duri, molti ragazzi sono morti e tanti arrestati. Ad oggi continua ad essere uno dei campi più combattivi.

Saliamo sulla terrazza di un palazzo, da li si vede oltre il muro e possiamo capire come sè stato contruito, praticamente a “zig zag”, chiudendo questa parte, quella dei “cattivi”.

Alcune storie sono assurde. Un ragazzo mi indica una casa di campagna oltre il muro, mi dice:
“La vedi?quella è mia…prima del muro in 5 minuti ero a campo, ora ci metto più di mezz’ora e devo passare il check point ogni volta”.
Non so cosa dire, siamo abituati ad un’altra vita, queste invece sono vite sotto occupazione.

Il tramonto, è bello, vediamo Betlemme illuminata di rosso.

Mi manca Gaza, 22 giorni mi fanno andare via con la consapevolezza che c’è molto da fare e raccontare e per questo voglio tornarci il prima possibile. Per il momento finisce qui il diario, vediamo cosa succederà in futuro.
Porto Gaza nel cuore perché dopo che vivi quel contrasto stranissimo tra vita e guerra, tra l’università piena e i quartieri bombardati, è difficile non voler tornare e dare una mano, quindi è un addio ma un arrivederci.

Vittorio Arrigoni diceva:”Restiamo Umani”, per Gaza e i gazawi è difficile ma ce la fanno, io ci sto provando.

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