Il filmaker è il suo lavoro


Riflessione semiseria sul perché non timbriamo il cartellino

Ho fatto discrete vacanze in questa estate (complice anche un cambiamento) e me ne sono tornato con un bel po’ di foto (la mia ragazza è contenta, soprattutto quando c’è lei!) e un video sul griko (dialetto in disuso). Non si tratta solo di semplici scatti turistici ma oltremodo legati da un filo conduttore che non ho fatto fatica a trovare. Niente autocelebrazioni per carità, solo una doverosa riflessione. Cosa spinge un filmmaker a non fermarsi mai di produrre neanche in panciolle? Noi tutti (me compreso) cadiamo spesso in un errore. Quello di sedersi, nel momento in cui si hanno quattro soldi, in uno scranno di paglia fatto di sicurezze economiche e di seguenti quanto inutili apatie legata al soldo. Per un filmmaker, la cui professione (o gioco) si è evoluta in un modo alquanto curioso ciò che serve non è tanto mandare curricula in giro (si sgomita fin troppo), quanto il dimostrare di essere il migliore. Una volta, quando ho iniziato io (secoli fa e lo dico perchè vado per i quaranta e non per sentirmela calda come si dice a Roma), esistevano solo gli operatori e in genere, ognuno aveva il suo ruolo. A me interessava marginalmente occuparmi di una sola cosa, lo trovavo estremamente riduttivo, ma puntualmente venivo deriso e il perchè è semplice e lo ripeto: ognuno aveva il suo ruolo. Anche sindacalmente parlando. Avere velleità registiche era un’aspirazione ma una cosa per pochi. Beninteso, parliamo del 1994, in pieno fermento beta sp, per cui chi girava (ma in parte anche oggi), dava la sua bella cassetta (scheda) al montatore che con il giornalista ci cavava su il suo bel pezzo (a corredo ricordo sempre che un bel girato in betacam non ha paragoni ancora oggi per profondità di colore) e il suo bel pezzo finiva in onda. Io sono sempre stato un appassionato di tutto il ciclo produttivo anche quando ero solo un ragazzino con la mia hitachi vhs e due videoregistratori. Lo facevo per me magari o davo il lavoro al mio professore che indegnamente, con la sua telecentroitalia da 20 spettatori ubriaconi a sera lo sparava in etere malgrado fosse la sagra della cicoria di campo con la gioia dei miei genitori. Perchè si sa i primi spettatori sono loro. Ricordo ancora le facce sorridenti quando videro un lavoro in monocamera in perfetta consecutio. Come se ce ne fossero 3. Ho un bel ricordo di quella fase pioneristica, è stata una bella scuola. Ho appreso il linguaggio. Per cui, quando sono spuntati fuori con veemenza i filmmaker e io ho cavalcato l’onda, molti sono rimasti indietro a causa della su citata evoluzione. Ma da dove è partita questa evoluzione? Beh è un discorso lungo. Potremo dire che da un certo punto in poi gli operatori sono diventati un po’ un capro espiatorio dei cambiamenti del mercato, oramai già da parecchi anni orsono. Molti network (la Rai in primis) hanno deciso di delegare gran parte di certe produzioni (ivi comprese le news) ad appalti esterni per evitare di avere dipendenti sul groppone e ridurre i costi. In verità poi è successo di peggio ed è giusto che chi intraprende questo mestiere debba saperlo: le televisioni non assumono. Lo fanno i service ai quali loro chiedono forza lavoro. Ora siccome questi service partecipano a gare, queste sono sempre al ribasso. Debbono contenere le spese e i tagli li fanno sempre sulle maestranze. Un grosso cane che si morde la coda. Talvolta si arriva alle comiche. Molti service grandi di cui non faccio nomi sono arrivati ad assoldare degli amici (parrucchieri e pizzicagnoli, ma non ce l’ho con loro eh, sia chiaro) per coprire degli eventi, spesso partite di calcio in cui è richiesta maestria nella professione, col risultato di fare degli enormi strafalcioni. Ma l’importante è non spendere troppo. Lo specializzato costa. E allora sotto con i trattori. Anche se poi il risultato conta.
In questo minestrone il filmmaker è stato alla porta. Gli operatori di ripresa sono rimasti tali, i montatori pure e oggi reclamano giustamente le loro posizioni. Ma c’è un problema. E’ sicuramente giusto protestare per tutelare questa professione, ma qui si parla di altro. E ha a che fare, giustamente, anche con un cambiamento di fruizione. Il confine tra web e tv è estremamente labile e confuso. E’ da tempo iniziata la commistione ed è un dato di fatto che internet abbia creato una moltitudine di persone dedite al video che hanno molta ma molta più visibilità di un operatore che non si aggiorna. Basta una sciocchezza e possono far soldi. Se un cameraman rimane arroccato sulle proprie posizioni va a morire. Nella mia società anche il mio direttore sta utilizzando il termine filmmaker e ha ragione. Per un discorso di contenuti.
Il filmmaker è stato alla porta. Fase due. Vituperato perchè toglie il lavoro. In realtà mi permetto una digressione. Io stesso sono un operatore, lo sono sempre stato. Ma amo fare il mio lavoro, (anche se non lo è se non per definizione del prodotto finale) anche per far partecipi gli altri delle mie emozioni. Condividerle, non solo sui social, impegnandomi a rinnovarmi ogni giorno. Fondamentalmente sono pochi quelli entrano in questo modo di vedere le cose. Chi è impiegato ad orario è rarissimo che fuori dall’impegno vada in giro con la camera o la macchinetta fotografica solo per passione (dico macchinetta non smartphone eh, attenzione). Ed è quello il più grande, madornale errore. Ascoltate bene il concetto. L’operaio, sfruttato, mal pagato può odiare il suo impiego. Perchè tutti i giorni se ne sta davanti una macchina fetente a girare un volano che gliela mette in funzione. Non un filmmaker. Non può. Il filmmaker è il suo lavoro non fa un lavoro. Il suo prodotto finale è il lavoro, al limite. Il filmmaker ha un dono. Come lo scrittore scrive, il pittore dipinge e così via. Crea pure lui. Il frutto dell’impegno profuso sia da solo che su commissione. Un filmmaker non smette mai di girare e fare foto. Non si adagia, se ci crede. Tutto dipende da lui. Da quanto è capace di creare attenzione. Anche quando ha un contratto in mano non smette di fare immagini.
Con l’associazione partecipiamo spesso ai concorsi, meeting e proviamo nuove camere. Perchè esiste una passione che esula poi da un discorso venale che fa sempre comodo. Ma i soldi arrivano perchè siamo dei romantici e facciamo qualcosa di buono. Per intero. Gli operatori si limitano alla favola. Ben girata per carità ma ai filmmaker piace anche scegliere la carta sulla quale scriverla. E’ per questo che i filmmaker stanno funzionando di più e pure mamma Rai se n’è accorta. Pagati meno? Non è sempre così e non così poco. Se hai una marcia in più puoi fare il prezzo della tua prestazione.
Ho notato una cosa lo scorso anno durante la partecipazione al 48 ore (se non sapete cos’è non siete filmmaker). Non ho incontrato nessuno, nessuno degli operatori che incontro spesso a Montecitorio. Perchè per molti di loro la telecamera è un impegno non una dedizione. Non si può appendere al chiodo lo strumento della tua creatività quando è il tramite stesso della tua creazione. Di norma mi piace girare con una fotocamera in tasca. Ora che ne sono uscite di belle e più piccoline si possono fare delle discrete cose. Hai finito il tuo turno? Bene, vai in giro a nutrirti. Girate il più possibile, fate foto. E fate foto prima di girare quello che dovete, è un ottimo esercizio mnemonico, copiandone inquadratura ed esposizione. Create anche se sembra brutto, scarso e poco. Il filmmaker non si ferma mai. Anche se è per lui solo. E non demordete mai. Non vi fermate neanche quando siete in vacanza. Le idee arrivano. Dipende solo da noi.