Befilmaker a Bruxelles


“Sto per prendere la metro sotto casa, tra 15 minuti sono in centro” scrivo a Marco, il collega che deve lasciarmi l’attrezzatura prima di partire per Parigi.
Così inizia un’altra giornata di lavoro, doveva essere normale nonostante gli attentati di Parigi,
nonostante l’attenzione mediatica degli ultimi giorni sulla città di Bruxelles.
Invece la capitale del Belgio si è svegliata sotto assedio: pochi secondi dopo l’sms al mio collega l’impatto con la nuova realtà è davvero brusco.

Metro chiusa, la strada principale sotto casa mia praticamente deserta, polizia armata vicina all’ingresso della metro.

Ovviamente il primo pensiero è documentare questa situazione, cercare di arrivare in centro recuperare il materiale per fare le dirette con Sky e poi iniziare a raccontare come una città solitamente tranquilla e con le strade trafficate si sia svegliata in una situazione di guerra.
Mentre recupero il taxi leggo del “pericolo serio ed imminente di attentati in stile Parigi”, ovvero il  comunicato che la polizia e l’amministrazione locale hanno diramato invitando “tutte le attività pubbliche a restare chiuse per le giornate di sabato e domenica, evitare luoghi affollati e manifestazioni pubbliche”. Sembra assurdo.
Pochi mesi fa, appena arrivato a Bruxelles, la cosa che più mi era piaciuta era l’organizzazione e il funzionamento impeccabile della città, ma soprattutto le tantissime persone straniere, io ero uno di loro, straniero in una città di stranieri e quindi meno solo. Schaerbeek, Molenbeek, Anderlecht, Matonge, tutti municipi e quartieri che chiunque ti sconsiglia  per cercare casa, ma quando poi li conosci e li scopri ti innamori per le differenze che trovi.
Bar, ristoranti, tavole calde e locali tutto molto vivo, persone per strada come nei quartieri popolari in cui sono cresciuto a Roma, dove le piazze e le strade sono vissute e non attraversate. Anche i problemi sono gli stessi, come in una qualsiasi altra periferia di una grande città europea. Disoccupazione, marginalizzazione dei più deboli, abbandono scolastico, sono solo alcuni delle tante questioni che caratterizzano le periferie e che spianano la strada a idee forti che danno invece certezze e risposte, a loro modo.
Il neofascismo e il radicalismo islamico si insinuano in queste realtà, entrambi, seppur in maniera fittizia, danno prospettive e identità a generazioni in piena crisi identitaria. Soprattutto nei giovani migranti di seconda o terza generazione che non si sentono europei ma non sono nemmeno siriani, tunisini o egiziani, il radicalismo islamico è un collante molto forte che li unisce e che va a rimpiazzare l’assenza di culura e di valori. È l’integrazione in stile europeo che ha fallito e loro ne approfittano.
Dopo gli attentati di Charlie Hebdo erano state fatte delle retate a Molenbeek quindi si sapeva della presenza di persone legate all’area dell’estremismo islamico ma era davvero difficile pensare di passare alle cronache come la capitale del terrorismo.
Nonostante le difficoltà nell’attraversare la città riusciamo a lavorare, ore e ore di dirette su come la città sia vuota e su come la presenza militare sia davvero pressante.
In tutto questo è arrivato il freddo anche in Nord Europa, con un po di ritardo rispetto al previsto ma giusto in tempo per ghiacciare mani e piedi durante le numerose ore di lavoro (mentre scrivo sono arrivato alla 87isima ora lavorata dal giorno dell’attentato di Parigi) e rendere tutto più difficile. Però poi pensi che è il tuo lavoro, che se fossi stato altrove avresti pensato “cazzo! avrei voluto raccontare Bruxelles in stato d’assedio, avrei voluto essere là”. Quindi sei combattuto, sei contento
perchè stai facendo il tuo lavoro in una situazione particolare e al tempo stesso sei stanco e infreddolito.
Mentre decidi se arrabbiarti o essere contento è arrivato il momento del montaggio, perchè quando finiranno le dirette manderanno il “pezzo” realizzato durante il giorno. Quindi da un lato monti e dall’altro sei “live”, il filmaker fortunatamente è multitasking e cerca anche di capire la situazione che c’è attorno. Le strade sono vuote o quasi, le poche persone in giro incuriosite dalla presenza di mezzi blindati militari si fa fare delle foto ricordo di dubbio gusto, un bambino costretto a posare
dal padre davanti a un blindato inizia a piangere e il papà è costretto a desistere.
I pochi locali aperti alla spicciolata iniziano a chiudere, la “base” dove con Jacopo stiamo montando al caldo, ovvero un bar, ci dice che alle 20 avrebbe chiuso visto che eravamo gli unici clienti e che attorno c’erano sono militari e poliziotti. “Bon courage” ci dice la signora mentre ci accompagna fuori in una situazione di silenzio e vuoto totali.
La giornata finisce con un’ultima corsa in taxi e qualche riflessione sparsa su come dobbiamo fare il nostro lavoro che a volte è difficile perchè lavori per qualcun altro che per stare dietro ai ritmi delle news 24 ore su 24 rischia di creare miti e realtà distorte, ma è lavoro e soprattutto anche quando lo fai per qualcun altro prestando il tuo occhio e soprattutto la tua testa per le riprese, cerchi sempre farlo in modo eticamente corretto.
Domani si ricomincia, alle 9 la prima diretta e come sempre finiremo per sera, più che il rischio attentati e un po di adrenalina professionale mi spaventa il freddo e il rischio neve.