See you, Inshallah!


Questo è un posto dove le giornate sono infinite e dopo appena 2 giorni dentro sembra di essere qui da almeno una settimana. Fare due corsi in un giorno solo in posti lontani tra di loro non aiuta e nemmeno le 6 ore di lezione al giorno con Sami che fa la traduzione dall’italiano all’arabo. Quando devi spiegare con il traduttore è ancora più difficile, devi pensare a frasi brevi e semplici, interrompere il pensiero e riprenderlo dopo la traduzione. Mentalmente è molto più stancante di una lezione normale.

La mattina vediamo le fotografie che hanno scattato ieri durante la lezione pratica, doveva essere dedicata al montaggio video del corto che avremmo girato durante il corso di filmmaking se solo Israele non ci avesse bloccato fuori dalla Striscia per 6 giorni senza darci spiegazioni. Quindi abbiamo optato per un corso di fotogiornalismo, più facile, più immediato e fattibile con i pochi giorni rimasti a disposizione.
Scorrono le immagini e le analizziamo una per una. Composizione, esposizione, contenuto, tutto quello che serve per analizzare un’immagine. Da questo partono discussioni, domande, sono curiosi di sapere come si lavora all’estero, come possono fare per lavorare con giornali e tv straniere da dentro la Striscia perché per loro oltre ad una fonte di guadagno sarebbe la possibilità di uscire, seppur solo mentalmente, dal più grande carcere a cielo aperto del mondo. A fine lezione ci chiedono di farsi delle foto con noi, in questi giorni avevo svicolato perché c’era poco tempo e perché amo essere fotografato, però stavolta non posso dire di no e per evitare una foto con ogni singolo studente propongo un mega autoritratto di gruppo, 15 secondi e passa la paura.
Da queste parti i social network e i continui post di foto sono una sorta di rivoluzione culturale dei giovani. Vista con gli occhi di un occidentale sembra una cosa banale e infantile ma pensare a quanto questi strumenti possano cambiare la comunicazione e le relazioni interpersonali in un posto in cui tra uomini e donne non ci si da nemmeno la mano e si studia in giorni e aule separate è qualcosa di importante e si scontra con il formalismo e il conservatorismo di Hamas.

Quando arriviamo al media center di Gaza io sono ancora rimbambito dalla lezione mattutina e dai festeggiamenti di fine corso. Nel pomeriggio la cosa si fa ancora più seria, oggi parliamo di filmmaking e delle diverse tipologia di linguaggio video. Con l’aiuto del proiettore andremo a vedere dallo spot commerciale per la tv a quello per internet per arrivare fino al documentario passando però per i videoclip musicali, i servizi giornalisti e altro.
La classe del media center come ieri è molto più tosta e pretenziosa, sono tutte donne che già lavorano nel settore quindi ogni domanda viene calibrata, pensata e non hai margini di errore nella risposta. Per fortuna dopo un’oretta dall’inizio arrivano anche falafel e tè per una sorta di pranzo molto tardivo, finiamo di vedere quello che stavamo analizzando e facciamo la pausa.
Appena riprendiamo la spiegazione arriva una luce fantastica dalla finestra e crea un controluce bellissimo sul velo di due studentesse. Faccio il “vago” e prendo la macchina, imposto l’esposizione senza farmi vedere e appena parte un nuovo video che già conosco scatto! È difficile venire qui e dedicare tutto il tempo all’insegnamento e non riuscire a raccontare le storie che si incontrano e quindi ogni tanto almeno una foto la devo fare!
La lezione fila liscia e alla fine le ragazze sono contente dell’esperienza e ci chiedono di tornare, inshallah! Ovviamente anche per loro scatta il momento delle foto ricordo ma questa volta la proposta dell’autoritratto di gruppo è tardiva e ci incastrano con delle foto singole in cui io ho la faccia da scemo completamente imbambolato.

La giornata quasi infinita non poteva finire così quindi accogliamo l’invito di una radio indipendente di Gaza per visitare la loro nuova struttura inaugurato meno di una settimana fa dopo che era stata bombardata durante la guerra. La vista dal quattordicesimo piano è mozzafiato, vediamo tutta la città di Gaza e oltre. Quando ci affacciamo dalla finestra a est vediamo anche la buffer zone e Israele, la Striscia è talmente piccola che i 7 km di larghezza dal quattordicesimo piano li vedi tutti a anche oltre.
Chiedono a Valentina un piccolo intervento alla radio, sono contenti di ospitare una giornalista radiofonica italiana e alla fine a sua insaputa va in diretta con il sempre presente Sami a fare da traduttore. Ci promettiamo di risentirci per dei corsi e qualche gemellaggio con delle radio indipendenti italiane.
Liberi! Sono “appena” le 19, siamo fuori dalle 8 e finalmente siamo liberi. Ne approfittiamo per andare a prendere un tè in un posto molto belloa sul lungomare insieme a Rehaf, una mia ex studentessa di fotografia dell’università Al Aqsa con la quale sono rimasto in contatto. È una bravissima disegnatrice, ha studiato all’istituto di belle arti e sta cercando una scuola europea di arte per poter ottenere dei permessi e riuscire ad uscire, seppur per un periodo limitato. Mostra a me e a Valentina il suo nuovo progetto fotografico, ci chiede consigli su come strutturarlo e come fare la postproduzione delle foto, parliamo come vecchi amici perché anche se a distanza sono riuscito a mantenere un rapporto con lei, anche di scambio professionale.
Mentre parliamo intanto sfilano i caroselli di 5 matrimoni con tanti di furgoni con colonne di casse e musica altissima, macchine con 7/8 persone a bordo e molte delle quali con mezzo busto fuori dal finestrino, tutto contornato da un’orchestra di clacson che sembra diretta la maestro Muti. Nell’ultimo anno Gaza è rinata e la “movida” del lungomare del giovedì sera e i caroselli matrimoniali lo dimostrano a pieno.
Prima di andare via Rehaf ci regala del timo e della salvia, prodotti molto usati per la cucina e il tè. Le promettiamo di tornare ma soprattutto le diciamo che la aspettiamo a Bruxelles. “Inshallah”.

Valerio Nicolosi